mercoledì 17 agosto 2011

Cieli d'Irlanda - IV - Occhi

Gli occhi degli irlandesi sono come il loro cielo: blu.
E neanche un blu semplice. Un blu complesso, fatto di striature e punti di azzurro diversi, solcato da infiniti e invisibili cerchi di celeste. Quello che si crea è una sorta di celeste rotondo, una specie di universo dell'azzurro.
Sorridono, i loro occhi, socchiudendo e stirando un po' le palpebre, come quando c'è troppo sole e l'occhio si chiude quel tanto che basta per ripararsi dalla luce in eccesso.

Il loro aspetto è sottile e gioviale. Io mi aspettavo più discendenti dai rinomati vichinghi che per anni hanno saccheggiato quelle terre per poi stabilirvisi definitivamente, e mischiarsi con la sua gente, ma la statura di questi uomini è ancora abbastanza piccolina, rispetto ai loro discendenti nordici, che però gli hanno sicuramente lasciato in eredità il tono rosso rame dei capelli, e la pelle diafana e lentigginosa.

I più anziani di loro hanno dipinte sul viso delle espressioni secolari, come tutti i vecchi del mondo, ma la pelle, sottile e delicata, crea uno strato di rughe numerose e finissime, come fogli di cartapesta.
Un signore che avrà avuto tutti gli anni dell'isola, incontrato al centro della desolazione del Gap of Dunloe che taglia in due la penisola del Kerry da costa a costa in mezzo alle montagne, aveva un inaspettato aspetto da golfista inglese, ma il suo viso sarebbe stato degno dei migliori book fotografici di ritratto, con tutte le bellissime tracce del tempo su quel viso sorridente e la voce affaticata dagli anni, ma non certo dalla vita.

L'idea di essere di fronte ad un esemplare di Hobbit mi ha sfiorata ogni qual volta parlassi con uno di loro, con quel viso grande, gli occhi enormi come mondi spalancati, e anche la tendenza al sorriso, la musica e la birra spalleggiava e rafforzava questa mia impressione.

Tra me e loro dev'essere scattato proprio un amore sconfinato, perché molti irlandesi mi toccavano, se avevano la possibilità. Nessun tocco di seduzione, era solo necessità di contatto. Signore e signori che, parlandomi un po', ad un certo punto mi davano una carezza, o un semplice buffetto sulle spalle. Ero l'unica del gruppo ad avere questo trattamento. A dire il  vero, anche a me sarebbe piaciuto accarezzare i loro sorrisi amichevoli e gioviali, ma alla fine mi sono limitata. Di certo è più facile per loro sfiorare una ragazza che per età e aspetto potrebbe essere una loro figlia, piuttosto che il contrario. Io mi sono goduta quei tocchi della benedizione, e ho suggellato privatamente la mia amicizia con gli abitanti di quel paese verde.

Ovviamente non ho foto di questi volti che descrivo. Per discrezione li ho lasciati rapire solo dalla mia memoria. Mi sembrava una questione di sincerità. Loro mi svelavano i loro segreti attraverso gli occhi, e io mi limitavo ad affacciarmi e guardare, come i loro cieli ti lasciano fare.

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